dal 7 al 25 marzo 2012
di Molière
regia Alberto Di Stasio
con Manuela Kustermann, Fabio Sartor, Emanuela Ponzano, Massimo Fedele, Alberto Caramel, Luna Romani, Gloria Pomardi
musiche Wolfgang Amadeus Mozart
dipinti Stefano di Stasio
movimenti scenici Gloria Pomardi
luci Valerio Geroldi
Organizzazione Enzo Toto
Ufficio stampa Cristina D’Aquanno
Organizzazione amministrativa Marco Ciuti
Foto Tommaso Le Pera
"Con il Don Giovanni, quasi cento anni in anticipo sulla Rivoluzione Francese e De Sade, Moliere crea un dramma in cui Natura e Ragione si scontrano come due titani, incarnandosi la prima in Sganarello, la seconda in Don Giovanni. La sensazione che un Vecchio Mondo stia lasciando il posto ad uno Nuovo ispira la lucida acerba e inflessibile critica di Don Giovanni che pur di andare fino in fondo alla sua visione non risparmia nulla della sua realtà, neanche se stesso, nonostante la generosa e creativa operosità di Sganarello che cerca in tutti i modi di rivelare al suo padrone, quasi una madre con il proprio figlio, quasi un amante con il proprio amato, la ricchezza e il bene che si celano nella Natura, come baluardo e salvezza prima della rovina."Nota di regia Si ignora l’anno, il secolo, il luogo in cui nacque la leggenda di Don Giovanni.
Non esiste una notizia certa che possa rivelarne l’origine; c’è chi crede (ad esempio
Kierkegaard, nel suo saggio L’erotico nella musica) che l’idea del personaggio appartenga al cristianesimo, e, attraverso di esso, al medioevo. Quanto alla sua origine, al luogo, s’impone ch’esso sia la Spagna.
Ma ecco proprio uno studioso spagnolo, il Maranon, allontanare l’idea che Don Giovanni sia un prototipo spagnolo e tanto meno andaluso. Egli sarebbe, piuttosto, un prodotto di società decadenti che aveva già portato in giro il suo cinismo nel declino di altre civiltà, quando la
Spagna era ancora un embrione di popolo, senza struttura nazionale. Infine c’è anche chi ha visto calare Don Giovanni (proprio lui, uno dei personaggi più mediterranei che si conoscano) dal gelo e dalle nebbie del Nord.
Questi studiosi descrivono la biografia di un fantasma; non s’accorgono che Don Giovanni è un personaggio che, come tale, è storicamente irraggiungibile.
E’ vero solo per l’intensità della finzione poetica che lo fa vivere.
E’ il palcoscenico il luogo della sua definizione; solo in esso egli compie gli estremi della sua azione.
Molière ne fa un capolavoro assoluto; il testo raggela la figura del burlador de Sevilla, esaltandone l’ipocrisia come mezzo eccellente e infallibile per raggiungere lo scopo. Quella polemica sociale, contro la morale, la virtù e l’onore che si pretende invincibile, qui si dichiara con irruenza, come se Don Giovanni fosse il rivoluzionario denunciatore d’una verità abilmente nascosta sotto la devozione, ed egli si divertisse a trasformare, come un meccanismo, quella verità in una vivente dimostrazione.
Il libertino Don Giovanni, dunque, spense del tutto il fuoco e la giovanile baldanza del suo antenato spagnolo: si raggelò in una luce livida e quasi satanica.
La nostra scrittura drammaturgica accerchia lo spettatore in tre misure di interpretazione: la musica mozartiana di rara bellezza, pungolo buffo/tragico che scuote l’approssimazione apollinea del personaggio per rovesciarlo in un turbine dionisiaco come soltanto un musicista come Mozart poteva immaginare; i quadri di Stefano Di Stasio inoltrati in una modernità propria dei grandi truffatori, di un realismo impensabile e anacronistico.
La vera e propria scrittura di scena si modella ai fondamenti d’un teatro di forti emozioni fisiche e psichiche, dove nulla accade se non evocato e nulla si evoca se non vissuto. Uno spettacolo che speriamo di alta intensità teatrale, voluto per scuotere le coscienze degli spettatori illuminandoli sulla decadenza erotico-corporale del nostro vivere civile.
Non esiste una notizia certa che possa rivelarne l’origine; c’è chi crede (ad esempio
Kierkegaard, nel suo saggio L’erotico nella musica) che l’idea del personaggio appartenga al cristianesimo, e, attraverso di esso, al medioevo. Quanto alla sua origine, al luogo, s’impone ch’esso sia la Spagna.
Ma ecco proprio uno studioso spagnolo, il Maranon, allontanare l’idea che Don Giovanni sia un prototipo spagnolo e tanto meno andaluso. Egli sarebbe, piuttosto, un prodotto di società decadenti che aveva già portato in giro il suo cinismo nel declino di altre civiltà, quando la
Spagna era ancora un embrione di popolo, senza struttura nazionale. Infine c’è anche chi ha visto calare Don Giovanni (proprio lui, uno dei personaggi più mediterranei che si conoscano) dal gelo e dalle nebbie del Nord.
Questi studiosi descrivono la biografia di un fantasma; non s’accorgono che Don Giovanni è un personaggio che, come tale, è storicamente irraggiungibile.
E’ vero solo per l’intensità della finzione poetica che lo fa vivere.
E’ il palcoscenico il luogo della sua definizione; solo in esso egli compie gli estremi della sua azione.
Molière ne fa un capolavoro assoluto; il testo raggela la figura del burlador de Sevilla, esaltandone l’ipocrisia come mezzo eccellente e infallibile per raggiungere lo scopo. Quella polemica sociale, contro la morale, la virtù e l’onore che si pretende invincibile, qui si dichiara con irruenza, come se Don Giovanni fosse il rivoluzionario denunciatore d’una verità abilmente nascosta sotto la devozione, ed egli si divertisse a trasformare, come un meccanismo, quella verità in una vivente dimostrazione.
Il libertino Don Giovanni, dunque, spense del tutto il fuoco e la giovanile baldanza del suo antenato spagnolo: si raggelò in una luce livida e quasi satanica.
La nostra scrittura drammaturgica accerchia lo spettatore in tre misure di interpretazione: la musica mozartiana di rara bellezza, pungolo buffo/tragico che scuote l’approssimazione apollinea del personaggio per rovesciarlo in un turbine dionisiaco come soltanto un musicista come Mozart poteva immaginare; i quadri di Stefano Di Stasio inoltrati in una modernità propria dei grandi truffatori, di un realismo impensabile e anacronistico.
La vera e propria scrittura di scena si modella ai fondamenti d’un teatro di forti emozioni fisiche e psichiche, dove nulla accade se non evocato e nulla si evoca se non vissuto. Uno spettacolo che speriamo di alta intensità teatrale, voluto per scuotere le coscienze degli spettatori illuminandoli sulla decadenza erotico-corporale del nostro vivere civile.
dal 7 al 25 marzo 2012
Teatro Vascello - in Via G. Carini 78
orari per gli studenti: mattinée ore 10.30 - dal martedì al sabato ore 21 - domenica ore 18.00
Prezzi: Teatro Ragazzi ridotto studenti € 10,00 più omaggio al professore accompagnatore, in matinée. € 12,00 serali o pomeridiane
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