mercoledì 14 dicembre 2011

Odin Teatret: tra teatro e poesia

Ancora una volta Eutheca si fa promotrice di momenti di alto teatro, ospitando nei suoi spazi pietre miliari dell'arte. Da ricordare l'anno scorso "Fragments" di Peter Brook.
Quest'anno è l'Odin Teatret ad approdare nel porto di cultura del teatro Eutheca. Una rassegna formata da uno spettacolo "Sale" e due dimostrazion di lavoro "Lettere al vento" e Orme sulla neve".
"Sale" sbarca per la prima volta nella capitale, uno spettacolo nato da cinque anni di lavoro, di studio, di viaggi, cinque anni di vita di Roberta Carreri e Jan Ferslev. Ed è proprio la vita che vediamo raccontata sul palco, la vita di una donna passata a viaggiare da un'isola all'altra alla disperata ricerca di un amore perduto.

Un perimetro bianco delimita la distanza che la divide dal resto del mondo e che la tiene aggrappata ai suoi ricordi, ricordi di luoghi e persone che prendono vita dal suo corpo e dalla sua voce . Seduto ad un tavolo, c'è un uomo vestito di bianco, che accompagna questi ricordi sulle note  musiche tanto familiari quanto magiche. E poi un mucchietto di sale, il sale dei mari incontrati durante i molti viaggi, ma soprattutto il sale amaro delle lacrime che ha versato. 
Quello che Eugenio Barba ci propone è uno spettacolo intenso, quasi un rituale, che lascia spazio a domande e interrogativi. Un continuo altalenare tra sogno e realtà, passato e presente; un'esperienza onirica dove alla fine lo spettatore ha l'impressione di aver viaggiato davvero su quelle isole e ruba un po' di quei ricordi così vividi per tenerli dentro di se.
Roberta Carreri incanta con una padronanza del corpo e della voce impressionante, ogni suo gesto racchiude un mondo intero di significati, ogni suono che esce dalla sua bocca rievoca luoghi vicini e lontani.
Cinque anni è durato il viaggio di Jan Ferslev e Roberta Carreri, cinque anni fatti del loro training, cinque anni di luoghi, testi, musiche, persone, oggetti. Cinque anni racchiusi nella parola "saudade", nostalgia, ma una nostalgia che ha una sottile connotazione di piacere, "come il dolore che da bambini si sentiva quando i dentini da latte stavano per cadere e noi non potevamo fare a meno di toccarlo". Sarà Eugenio Barba nel 2002 a prendere in mano il loro lavoro trasformandolo in uno spettacolo prendendo spunto da “Lettera al vento”, l'ultima lettera del romanzo epistolare di Antonio Tabucchi “Si sta facendo sempre più tardi”. E dei cinque anni di lavoro e ricerca pieni di testi, immagini e sonorità rimangono uno scialle nero, una sedia, una caffettiera, una valigia, un bastone da passeggio, un mandolino e poco altro a dimostrane come con niente si possa creare un capolavoro.
Uno spettacolo che scorre tra le menti degli spettatori incantandoli, immagine dopo immagine, tra sapienti giochi di luce fino ad arrivare alla pioggia di sale che cade dall'alto alla fine dello spettacolo, una pioggia piena di quella poesia che riesce a paralizzare letteralmente il pubblico in sala. Sotto questa cascata una lettera che l'uomo vestito di bianco apre. Nessuna parola al suo interno ma solo un mucchietto di sale. Buio. Il rito è veramente compiuto.

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